ST. JAVELIN
ST. JAVELIN
ST. JAVELIN
ST. JAVELIN

Un progetto di Julia Krahn

Bandiere di Pace

Ritratti di donne rifugiate ucraine

ST. JAVELIN è l’ultimo progetto fotografico di Julia Krahn in cui l’artista invita le donne rifugiate ucraine a raccontarsi attraverso immagini e interviste (leggibili cliccando sul link sotto le foto).

ST. JAVELIN è il nome di una Santa nata in guerra, ispirata al missile “Javelin” mandato in Ucraina in sostegno della resistenza, diventata il simbolo di una Madonna protettrice. Proprio il paradosso di una madre che tiene in mano un’arma, la morte invece della vita, è stato il motore che ha avvicinato Julia Krahn alle donne ucraine.

L’unica arma che l’artista intende usare è l’empatia, da qui la scelta di inserire un autoscatto nel progetto. L’artista ha in mano la sua arma, il pulsante della macchina fotografica e invita le rifugiate a fare lo stesso, descrivendo le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere. Una madre non sceglierebbe mai la guerra per i propri figli.

“Non parlo della guerra, delle sue impossibili ragioni per esistere o di chi la sta tenendo accesa, ma delle persone che la subiscono. Indifferentemente da pensiero, posizione o status, sono fuggite per salvare i loro bambini e hanno lasciato indietro i loro mariti. Oltre alla propaganda esistono persone reali. Ognuno con la sua storia. Io accolgo in studio chi ha voglia di condividere la sua.” (JK)

Il progetto è stato realizzato in collaborazione con Associazione Festivà, Camera dei Deputati, Museo Novecento Firenze, Paxos Biennale, PhEST Festival, Stiftung Garnisonkirche Potsdam, Ukrainian Canadian Congress.

Si ringrazia il Comune di Sorrento, l’ Associazione I Penultimi e Hilfswerk Siedlung GmbHper il loro sostegno.

Mostre

In corso

Eventi passati

Stiftung Garnisonkirche – Potsdam (DE)
22 Feb – 9 Apr 2023

Elegia per la Pace / Montecitorio – Roma (IT)
24 Feb – 8 Mar 2023

Museo Novecento – Firenze (IT)
a cura di Sergio Risaliti
25 Nov 2022 – 29 Gen 2023

Festival PhEST – Monopoli (IT)
9 Set – 1 Nov 2022

Ukrainian Independence Day – Montréal (CA)
24 Ago 2022

Paxos Biennale – Paxos (GR)
4 Giu – 1 Ott 2022

ST. JAVELIN – Sorrento (IT)
27 Mag – 3 Lug 2022 / prorogata 3 Ott 2022

ALEKSANDRA (Mimose)

MARINA (Maternità)

JULIANA (Pane-Palianytsia)

OLGA (Oranta di Kiev)

OLENA (Propaganda)

Viktoria e Zlata (Pace)

JULIA (Cultura)

“Mi sono permessa di indossare il blu come le donne da me ritratte, proprio perché percepisco il mio mestiere come un’arma importantissima contro la guerra.

La cultura è come una terra fertile, dove la vita cresce bene. L’arte ha da sempre creato ponti fra mondi e pensieri diversi. Lei sa andare oltre la guerra.

È testimone, memoria ma anche rivoluzione, energia vitale.

In queste ultime settimane sono cosi, tutta blu.

Soffro con le donne e il loro paese. Cerco anche di proteggermi, più che altro dai media e dall‘ignoranza. Ma non ho paura. Mi difendo con quello che so fare, la mia arte, l‘autoscatto.

Perché per guardare il mondo con occhi aperti credo si debba prima guardarsi dentro, in profondità.”

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Per informazioni sulla mostra e sull’artista compila il form qui di seguito con i tuoi dati.

ALEKSANDRA (Mimose)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Alexandra sono di Rivne, nel Nord Ovest dell’Ucraina. Ho 27 anni e un figlio di 7. Prima della guerra lavoravo alla reception di un grande albergo con ristorante. Il mio lavoro mi piaceva.

Il 28 febbraio, cioè il quarto giorno di guerra, siamo andati in macchina dai miei parenti a Ivano Frankivsk, che è più vicina al confine. 

Il giorno dopo siamo partiti in autobus per Wroclaw, nell’ovest della Polonia. Siamo arrivati alla frontiera alle 7 del mattino. Abbiamo dovuto aspettare 15 ore, perché c’erano più di otto autobus con donne e bambini in fila. A mezzanotte abbiamo raggiunto la nostra destinazione. Avevo ordinato i biglietti aerei e la stanza per me e mio figlio già dall’Ucraina. Scendendo dall’autobus, ho trovato un taxi che ci ha portato all’ostello. Siamo stati in Polonia per 3 notti e l’8 marzo abbiamo preso l’aereo per Napoli. Ora vivo a Meta di Sorrento. 

Tutta la mia famiglia era già qui in Italia, solo mia nonna era rimasta li. Ci sentivamo sempre per telefono. Mi calmavo solo dopo aver sentito la sua voce. Il giorno in cui è iniziata la guerra vivevo la mia solita routine, come la maggior parte delle persone. Fino alla fine nessuno credeva che sarebbe davvero accaduto. D’altronde abbiamo sempre vissuto in tempo di pace. 

Ricordo il suono inquietante delle sirene e l’affollamento delle persone nel rifugio, allo stesso tempo confuse e sovraeccitate. Ricordo che per venire in Italia c’era un posto di blocco ad ogni incrocio della città, con controlli infiniti fino alla partenza. 

Ho nostalgia degli incontri con amici e parenti e so che non sarà mai più come prima. Qualcuno di loro è andato a combattere, qualcuno è morto e di qualcuno non si hanno più notizie. Io mi sono trasferita in un altro paese come le persone con cui ho passato la maggior parte della mia vita. Nessuno di noi sa se ci rivedremo ancora. 

Io e mio figlio abbiamo preso solo il necessario: alcuni vestiti e i documenti. Tutto stipato in una piccola valigia. Poi ho preso la mia croce; senza non andrei da nessuna parte. Io e mio figlio ce lo ripetiamo sempre: è il nostro amuleto, che ci ha protetto da tutto ciò che di brutto avremmo potuto incontrare nel viaggio. 

Sai cosa penso? Che il ripristino della pace e della tranquillità deve iniziare soprattutto dall’animo umano. La pace è un grande valore, l’oggetto delle nostre speranze a cui tutte le persone dovrebbero tendere. La guerra inizia con l’ intolleranza verso gli altri, verso le differenze. È quello che porta al desiderio di onnipotenza e di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo, dall’egoismo, dall’orgoglio e dall’odio che distorce la visione del mondo e la pone sotto una luce diversa, negativa. La sfiducia e la paura danneggiano i rapporti tra le persone e aumentano il rischio di violenza, creando un circolo vizioso che non potrà mai portare a rapporti pacifici. Deriviamo tutti da un’origine comune, da Dio. La volontà di riportare la calma e la pace deve partire da ciascuno di noi. 

Devo confessarti che a breve termine mi immagino ricca. Non mi vergogno di dirlo. Ricca non solo sul piano materiale, ma con una vita piena di accadimenti, grandi traguardi, con le piacevoli preoccupazioni di ogni giorno. Mi arricchirò cercando nuovi amici, con la famiglia che ho già vicino a me, in tutta sicurezza. Mi immagino felice, con un sorriso fiducioso, perché ho fiducia che tutto andrà bene. Sogno, come tutti, che nel mio paese non ci sia più la guerra, che le persone non muoiano. So che non tutti i miei sogni potranno avverarsi in una volta, ma voglio immaginare che tra un mese nella mia vita non ci saranno più queste lacrime di dolore e miseria! 

Tutti dovrebbero capire che la guerra influenza la vita di ciascuno nel profondo. In un istante tutto può cambiare. Chiunque abbia dei progetti o delle ambizioni o dei sogni per il futuro, si ritrova a doverli mettere in secondo piano. Quando nella tua patria volano proiettili, esplodono bombe e i missili colpiscono edifici residenziali, si pensa solo a sopravvivere e a mantenersi in salute, e il futuro non ha più certezze a cui appigliarsi. Invece tutti dovrebbero poter avere fiducia nel domani. In ogni caso, è necessario rivedere i valori delle nostre vite, ovunque ci si trovi. Perché oggi nel mondo non prestiamo abbastanza attenzione a ciò che invece, in momenti straordinari come una guerra, diventa fondamentale. L’amore, l’ attenzione e la sensibilità verso gli altri, verso chi ci circonda. 

Io non arrivo proprio a capire come gli uomini e le donne del XXI secolo non riescano a risolvere le questioni in maniera pacifica, senza lacrime o spargimenti di sangue e morte. Dio ha dato a tutti il diritto alla vita. Il tempo che abbiamo è così breve. Siamo sicuri che vogliamo sprecarlo tra conflitti e guerre, invece di viverlo in comprensione e armonia reciproche? 

Quando ero a casa, all’inizio della guerra, passavo dalla paura alla disperazione, poi all’ ansia e infine all’incertezza. Sensazioni che prima non avevo mai provato fino in fondo. Era terribile la sensazione di impotenza, non saper decidere nemmeno dove andare o cosa fare. 

Ora mi sento molto meglio. Dormo più tranquilla, sapendo che tutti i miei parenti sono al sicuro vicino a me. Sono grata al Paese che mi ha dato rifugio e a tutte quelle persone che ho sentito simili a me, che mi hanno affiancato in quel momento difficile. Loro mi hanno sostenuto e aiutato a stabilizzare il mio stato d’animo, a ritrovare la fiducia e i punti di riferimento, a riprendere una direzione nella mia vita, che mi permetta di capire cosa devo fare per avere un domani migliore!”

MARINA (Maternità)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Marina e ho 32 anni. Vengo da Vinnyatsia, nell’Ucraina occidentale. Prima della guerra sono diventata madre per la seconda volta. Quando siamo scappati dalle bombe la più piccola aveva solo 4 mesi.

Ho guidato per quattro giorni e attraversato quattro paesi diversi per arrivare in Italia. Il resto della famiglia è rimasto in Ucraina. Ogni mattina chiamo mio marito e i miei genitori sperando di sentire le loro voci, di sapere che sono ancora vivi.

Quella mattina del 24 febbraio ci ha svegliato la telefonata di mia madre: ‘’È scoppiata la guerra!’’. Erano le 4 del mattino. Ci sono passati sulla testa otto missili cruise. Quel suono sordo delle esplosioni, non lo dimenticherò mai, mai!

Mi mancano tanto le giornate normali, le serate in famiglia, quella serenità semplice, gli abbracci dei miei genitori. Spero che presto arriveremo davanti a casa con i miei bambini e mio marito sarà li ad aspettarci: ci abbracceremo più forte, più spesso.  Voglio incontrare amici e familiari tutte le volte che posso.

Noi ci daremo da fare e ricostruiremo il nostro paese ma voi dovete capire che prima bisogna che ci sia la pace; il mondo intero deve fare uno sforzo affinché quello che vediamo ora non accada mai più!

Chi non l’ha vissuto, non può capire cosa vuol dire non sopravvivere alla disperazione. Quando sei in mezzo alle bombe l’ansia e la paura ti divorano. Chi non ha sentito le esplosioni vicino alla propria casa, difficilmente capirà tutto il dolore che sta vivendo il popolo ucraino.

Siamo tanto grati a chi ci ha accolto. Qui a Sorrento ci siamo tranquillizzati perché ci sentiamo al sicuro, ma la mente va sempre ai nostri cari che sono laggiù, tra le bombe. La preoccupazione per amici e parenti non si placa mai.“ 

LESYA (Disarmo)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Lesya, ho 46 anni, vivo in una vivace cittadina di nome Bugom, nella regione di Vinnytsia. Ho un piccolo negozio di prodotti per capelli ad uso professionale; ho sempre amato rendere le donne più belle.

Quando è scoppiata la guerra eravamo tutti a casa. In un primo momento non avevamo nessuna intenzione di andarcene. Facevamo il pane per i combattenti, quelli che ci stavano difendendo e tessevamo reti di protezione. Ma quando hanno bombardato l’aeroporto della nostra città, il panico ha avuto la meglio! In 20 minuti abbiamo raccolto le poche cose che ci servivano e siamo partiti.  

Era la notte del 6 marzo. Abbiamo fatto tre giorni di strada, attraversato in auto cinque paesi. È stato un viaggio faticoso perché con noi c’era anche la famiglia di mio fratello: sua moglie con il maschietto di 8 anni e la femmina di 5 mesi. Siamo entrati prima in Moldavia, poi in Romania, abbiamo attraversato l’ Ungheria, poi ancora la Slovenia e finalmente il 9 marzo siamo arrivati in Italia. Abbiamo incontrato ovunque persone molto gentili che ci hanno aiutato tanto.

Siamo venuti da mia zia a Sorrento; qui abbiamo trovato un posto dove stare. 

Siamo molto grati alla sua famiglia e a tutti gli italiani che ci hanno aiutato offrendoci vestiti, pannolini e omogeneizzati.

Noi siamo state aiutate dalle sorelle dell’Oasi delle Madri della PACE.  Sono davvero meravigliose!

Mio marito lavora nelle costruzioni, è ancora in Ucraina con mio figlio. 

Vuoi sapere cosa stavo facendo quando è iniziata la guerra? Dormivamo tutti. Non dimenticherò mai la chiamata di mio figlio. Lui era già stato colpito dalle forze armate russe. 

In quel periodo non c’erano informazioni sull’attacco russo in Ucraina. Nonostante quel brutto risveglio siamo rimasti a casa per qualche giorno.

Vuoi sapere com’è? Te lo dico io che l’ho vista: la guerra è orribile! Non perdonerò e non dimenticherò mai gli omicidi e gli stupri di donne e bambini, le torture e tutto quello che hanno fatto quegli orchi. Non si possono nemmeno chiamare animali, perché gli animali non sono così crudeli.

Quanti dei nostri ragazzi sono morti, il nostro patrimonio genetico. Come si fa a perdonare!

Aspetterò la vittoria del nostro paese! Che la pace torni sull’Ucraina! 

Il nostro è un paese talmente bello. Voglio tornare a casa da mio marito, da mio figlio! Voglio vedere mio figlio vivo e in salute. Che tutte le madri aspettino il ritorno dei nostri difensori!”

JULIANA (Pane-Palianytsia)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Juliana, ho 27 anni. Vivo nella regione di Chernivtsi vicino alle montagne omonime con i miei due figli. Prima della guerra ero impegnata nella pasticceria. Per raggiungere il confine ho dovuto percorrere 5 km a piedi con i bambini, e poi 30 ore di bus per l’Italia. Tutti i miei parenti sono rimasti in Ucraina, e anche se siamo costantemente in contatto con loro sto soffrendo molto.  Non li avevo mai lasciati così a lungo.

Il giorno prima della guerra facevo al solito il mio lavoro. Il 24 febbraio la mia vita si è divisa in Prima e Dopo. Mi sembra di aver cancellato dalla memoria tutto ciò che c’era prima, quei giorni spensierati e felici. Dal 24 febbraio spero solo che questo orrore finisca presto. Quella mattina ci siamo svegliati di colpo e ci siamo preparati di corsa per andare a nasconderci in un rifugio antiaereo. Ogni giorno mi sento sopraffatta da così tante emozioni; sono più spaventata dalla sensazione d’incertezza. 

Il mio cuore soffre per ogni bambino ucciso, per ogni persona, per le migliaia di loro senza nessuna colpa. Sembra un film dell’orrore. Il cervello si rifiuta di credere che questa sia la realtà, che una cosa simile sia possibile, ma credo fermamente nel bene. Sono sicura che presto tutto finirà torneremo a incontrare i nostri parenti, torneremo alle nostre case!”

OLGA (Oranta di Kiev)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Olga. Sono di Kiev e ho 74 anni. In Ucraina facevo lavori domestici. Ho una figlia e tre nipoti.  Uno di loro è rimasto lì. Noi abbiamo viaggiato 4 giorni, prima in treno e poi su due autobus.

Ora viviamo nel sud d’ Italia.  Io che non avevo mai viaggiato. 

Non riesco ad immaginare i prossimi mesi, nemmeno i prossimi giorni, con mio nipote li.  Per fortuna lo sento al telefono. 

Quella mattina mi sono svegliata alle cinque con il rumore delle esplosioni.  La pace non c’era più. Non ci si può preparare a tutto questo. Ti prende alla sprovvista. 

Da quel giorno l’ansia è costante; la preoccupazione per quelli che sono rimasti intrappolati o in prima linea. 

Solo dopo una vittoria assoluta sarà possibile ripristinare la pace.

Chissà che fine hanno fatto i fiori sul mio balcone. 

La guerra non lascia solo i palazzi distrutti. Vengono distrutti anche i vivi solo perché qualcuno lo ha deciso.” 

OLENA (Propaganda)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Olena. Sono nata 38 anni fa a Kiev dove lavoravo come agente immobiliare. Sembra impossibile ora che i palazzi sono distrutti.  Ma come è potuto accadere nel 2022!

Sono arrivata qui con mia figlia. In macchina abbiamo attraversato Ungheria, Slovacchia e Austria.

Qui in Italia abbiamo ritrovato i nostri amici, ma il resto della famiglia è laggiù.

Capisci? In Ucraina ci sono mio marito, mio padre, mio fratello, i miei due zii, un cugino e le due nonne. Non posso stare nemmeno un giorno senza sentirli.

Quando è scoppiata la guerra era un giorno come un altro. Avrei dovuto fare cose di ordinaria amministrazione. E invece non è rimasto niente. Il dolore per la famiglia e per tutti noi ucraini ha travolto tutto. Sembra banale, ma i momenti con la famiglia è ciò che mi manca di più. In questo momento mi sembra la cosa più difficile da raggiungere.

La pace comincerà dalla nostra vittoria. Senza vittoria non ci sarà mai pace.

Chissà se tra un mese sarò ancora qui, o tra due. Voglio stare a casa mia. Ma lo dico sempre a mia figlia: dobbiamo essere forti perché non accada mai più, dobbiamo ricordare tutti coloro che ci hanno aiutato.”

KIRA (Futuro)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Kira e ho 6 anni, sono venuta con mia madre Olena a Sorrento e ho conosciuto Julia che é venuto a casa nostra con un palloncino giallo. Me lo sono legato alla mano perché non volasse via.

Ci ha invitate a fare delle foto da lei in studio. Mi sono divertita molto. Mi ha dipinto tutta di blu con uno spruzzo e mamma ha mandato il vento nei miei capelli.

Solo la doccia, dopo, non era proprio calda, ma non fa niente.

La fotografia mi é piaciuta molto, anche a mamma e papà e anche ai nostri amici.”

GAIA (Morte)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Gaia. Sono nata a Kiev 38 anni fa. Sono venuta in Italia con i miei due bimbi, Micha e Anna.

Prima della guerra mi occupavo soprattutto della mia piccola Anna, ma stavo progettando di riprendere gli studi. Riuscivo sempre a ritagliarmi un po’ di tempo per i libri e preparavo gli esami d’ingresso per studiare biologia.

Il 24 febbraio, quando abbiamo sentito bombardare Kiev, ci siamo trasferiti da mia mamma che vive in un piccolo paesino vicino Chernihiv, al confine con la Bielorussia. Eravamo sicuri che sarebbe durata poco. E invece è iniziato un incubo infinito. Non riuscivamo più a venire via.

Siamo rimasti li per tre settimane. Poi finalmente ci siamo uniti a un convoglio di 25 macchine.

Eravamo divisi in 5 gruppi. Passavamo per le strade secondarie, i boschi, le vie sterrate.

Dovevamo stare molto attenti alle mine. Potevamo saltare in aria da un momento all’altro. Quindi partiva sempre prima un gruppo e se non era successo niente aspettava il gruppo successivo più avanti. Questo stillicidio è durato 6 ore, il tempo che ci abbiamo messo per fare 80km.

Appena fuori dalla zona minata abbiamo iniziato a doverci nasconde dai missili. Ogni volta che sentivamo quel sibilo avvicinarsi dovevamo correre il più velocemente possibile fuori dalle macchine e ripararci nella radura.

Nell’ultimo tratto invece abbiamo attraversato un campo immenso dove prima erano passati i carri armati russi. Il terreno era pieno di fossi creati dal peso dei cingolati.

Le nostro auto normali non avrebbero potuto attraversarli ma per fortuna la notte precedente aveva fatto -15° e i campi erano ghiacciati. Il capo del convoglio era stato molto chiaro. Avremmo dovuto attraversare quella distesa nel minor tempo possibile e se fossimo entrati in un fosso avremmo dovuto abbandonare l’auto e proseguire a piedi.

In questo modo siamo riusciti ad arrivare a Kiev. Il giorno dopo siamo partiti per Mohyliv-Podils’ky, dai nostri parenti. Dopo altri due giorni abbiamo preso il pullman che andava da Chernivzi a Cracovia. Poi con i miei bambini ho preso un aereo per Bari e un autobus per Napoli dove mi aspettava la mia amica Natalya che mi ha portato a casa sua.

Ora vivo a Sorrento da lei. Ci conosciamo da venticinque anni. È la mia migliore amica, quasi una sorella.

Quando lei ha lasciato l’Ucraina per venire qui ci scrivevamo continuamente lettere. Allora non c’erano ancora i cellulari.

Oggi meno male posso sentire il resto della mia famiglia rimasta in Ucraina. Mio marito, mia mamma, le mie sorelle.

Quel mattino mi ritorna in mente di continuo. Non riuscivo a credere che ci fosse una guerra in atto. Mi ripetevo tutto il tempo: “Non è assolutamente possibile”. Vorrei tanto dimenticare quegli ultimi momenti dentro la mia casa quando, per le esplosioni, sembrava che tutto venisse giù con noi dentro. La casa tremava come se fosse stata di carta, proprio come noi per la paura.

Finché l’informazione non sarà veritiera la pace non sarà possibile. Finché non leggeremo notizie corrette non ci saranno speranze per la pace. Perché anche quei soldati che uccidono, lo fanno per un ideale, sbagliato si, ma pur sempre un ideale. Solo dopo essere arrivati a destinazione scoprono di essere stati mandati in guerra, ma ormai è troppo tardi.

Questa guerra non è come la Seconda Guerra Mondiale, quando non si poteva comunicare. Oggi sappiamo e vediamo tutto. Non si può negare l’evidenza. Non possiamo più risolvere i grandi problemi mondiali con la guerra.

Se prima senza testimonianze dirette ci potevano essere delle cattive interpretazioni dei fatti, ora con tutto quello a cui assistiamo, con le immagini che girano in tutto il mondo non è più possibile.

È tutto sotto i nostri occhi. Non si può fingere di non vedere.

Come si fa a capire un fatto cosi assurdo: una persona libera che ne uccide un’altra che pensa di essere libera e parla di libertà. Le persone che uccidono non sono mai libere.

Avere un ideale di liberazione che porta a uccidere una persona nella propria casa, uccidendo civili e bambini o torturando. Che gran voglia di piangere! Mi sento cosi impotente.

Io comunque spero che fra poco tutto sia finito e che torneremo a casa e a scuola e qui da Natalia verremo solo per le vacanze. Ma per ora stiamo qui ed aspettiamo. Almeno fino a settembre e poi decidiamo. Voglio prenderci tempo e pensare per un po’ a niente. Ogni giorno cambia tutto e non sappiamo quello che succederà domani. Non ce la facciamo più a vivere così.

La quotidianità ci manca tanto. Portare i bambini a scuola, le piccole cose insomma.

Mi manca fare programmi, per vacanze, feste, la vita nostra. Ah quanto mi manca la stabilità.

La scuola per i miei figli, non so dove studieranno il prossimo anno.

Dopo aver attraversato questo dolore niente è più come prima.

Apprezziamo tutto ciò che prima davamo per scontato. Quello che ritenevamo prezioso è scomparso e quello a cui non abbiamo dato importanza ora è cosi essenziale.

Come la Pace!

Anche se vivo qui sotto un bellissimo cielo blu senza nuvole, insieme alla mia famiglia, il mio cuore è in lutto per le persone che sono rimaste li, a casa mia.”

SASHA (432 Hz)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Sasha e ho 21 anni. Sono di Kiev dove prima della guerra ho lavorato, ballato, parlato con gli amici e fatto progetti per il futuro. Mi trovo ancora in Ucraina ma ho intenzione di partire per l’ Italia in estate. Ora vivo in un villaggio vicino a Lutsk. Il resto della mia famiglia è già in Italia, ma mio padre e mio nonno sono rimasti qui. A volte ci sentiamo. Sembra che li vada tutto bene.
 
Il 23 febbraio, prima dello scoppio della guerra, ho disegnato tutta la notte e pensavo di andare al lavoro la mattina dopo. Invece mi sono svegliata alle 5 del mattino con una forte esplosione. Era un razzo russo caduto a cento metri da casa nostra. Qualche ora dopo, la gente ha iniziato a lasciare la città, noi invece ci siamo seduti e non sapevamo cosa fare.
 
La sera io, il mio ragazzo, mia nonna e mio fratello siamo andati a passare la notte in un rifugio antiaereo. È stato molto strano e psicologicamente difficile. Abbiamo trascorso dieci giorni lì. Di notte avevo paura. Poi il pomeriggio tornavamo a casa per mangiare e dare da mangiare al gatto, e per riposarci un po’, perché dormire per terra era fisicamente faticoso, soprattutto per gli anziani.
 
Non abbiamo più fiducia nel domani, non crediamo più che tutto si risolverà. Mi mancano le chiacchiere con amici e parenti ma dobbiamo adattarci. Mi manca anche la metropolitana, per quanto strano possa sembrare. Il mio gatto, la possibilità di andare al centro, le feste organizzate dai miei amici. Le cose materiali invece sono meno importanti. 
 
Prima di tutto, vorrei la pace, anche se ora sembra cosi difficile. Quando vedi la tua gente derisa e persone innocenti uccise è impossibile farsi da parte e convincersi che tutto va bene. La guerra è terribile ma tutti possono aiutare. Chi con aiuti materiali, chi con la solidarietà morale. Tutto può rendere migliore il mondo intorno a noi,  altrimenti si può impazzire. I pensieri hanno un effetto molto forte sulla nostra realtà. Per fortuna ora ci sono molti servizi gratuiti come apprendimento delle lingue straniere e assistenza psicologica. Tutto può essere utile, persino iniziare a fare ciò che prima si rimandava costantemente. 
 
Non so se ha senso pianificare qualcosa ora, ma credo sinceramente che andrò in Italia dalla mia famiglia. Prima però voglio tornare a Kiev, vedere gli amici, andare a ballare, fare ciò che ho sempre sognato.
Ho sempre detto che noi, come specie, non meritiamo una Terra così bella, che ci mette a disposizione tutto ciò che serve per vivere e per godere della propria esistenza. Ora penso solo che sono molto grata ai nostri difensori, ai volontari, alle persone che fanno di tutto per la sicurezza di noi comuni cittadini. Tutto ciò non ha prezzo. 
 
C’è un aggressore, la Russia, e la sua propaganda non conosce limiti. Il suo governo, che dice cose false sul popolo ucraino, non ha alcun diritto di esistere. È qualcosa di veramente difficile da combattere, perché la Russia sta deliberatamente distruggendo la sua gente in modo che non abbiano il tempo di pensare a ciò che sta accadendo, anche fuori dai loro confini. Solo una minima percentuale di persone si chiede: “Se il mondo intero è contro di noi in questo momento, abbiamo davvero ragione?”. Le persone vanno avanti per inerzia e non vogliono usare il cervello per analizzare la situazione. Non dovrebbe essere così. Ognuno ha il diritto di scegliere. Quello che i soldati russi stanno facendo al nostro popolo è inaccettabile, orribile. Non c’è spiegazione. Non capirò mai come una persona possa sprofondare in un tale abisso. Nessun animale è violento per puro divertimento. Quelle non sono persone. Le persone hanno un’anima. Questa non è politica, questo è un genocidio. La cosa peggiore è che persone innocenti stanno morendo. Non riesco ad accettarlo.
 
A casa mi sentivo al sicuro, ovviamente, prima dell’inizio della guerra. Ora è difficile immaginare un posto sicuro, perché non sappiamo dove atterrerà il prossimo razzo. Ma credo che presto potremo sentirci di nuovo al sicuro, ovunque ci troviamo.
 
Ora sento un’altalena emotiva. Il corpo e il cervello si sono già adattati alle circostanze. Ora sono in un posto tranquillo dove non ci sono ostilità in corso. Eppure a volte fa male, c’è un vuoto nell’anima, che non riesco nemmeno a spiegare. Perciò  in questi momenti è importante chiedere aiuto. Non solo è giusto ma è molto prezioso.”

KARINA (Europa)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“Mi chiamo Karina, ho dodici anni. Vengo da Kropyvnyc’kyj. La mia famiglia è formata da me, papà, mamma e due sorelle, Kristina ed Eva.
Prima della guerra andavo a scuola tutti i giorni: frequentavo la quinta elementare. Nel pomeriggio prendevo lezioni di pianoforte e danza. Poi nel tempo libero facevo equitazione. Il mio cavallo preferito si chiama «Molniya» che vuol dire fulmine.


Quando siamo partite, mia mamma mi aveva promesso che saremmo rimaste in Italia soltanto due o tre mesi. Però appena arrivate mi ha detto la verità, cioè che non torneremo fino alla fine della guerra. L’Ucraina dista da qui quattro giorni, tra treno e autobus. Ora abitiamo nell’Istituto Sacro Cuore a Sant’Agata, ci ospitato le suore. Mia madre e mia sorella vivono qui con me, mentre la mia sorellastra sta con sua madre in Germania. Mio padre è rimasto in Ucraina a difendere la nostra casa.
Lì sono rimasti mia zia e miei due cugini e anche i miei animali. I miei cagnolini Chelsea e Persyk.
Mi mancano tantissimo tutti.


Mamma dice che ogni giorno rischiano la vita e che si devono nascondere durante gli allarmi antiaerei.
Il 24 febbraio sarei dovuta andare a scuola. Mia mamma ha svegliato me e mia sorella annunciando l’inizio della guerra. Ci ha detto di mettere in una borsa le cose indispensabili e che potevamo prendere una sola delle cose a cui tenevamo molto. Dopo abbiamo raccolto il cibo nelle scatole, per avere qualcosa da mangiare in caso fossimo state costrette a fuggire. Quel giorno non sapevamo se saremmo sopravvissute.


Eravamo in cinque: io, mia sorella, due miei cugini e il bambino dei vicini. I miei genitori ci hanno fatto nascondere in corridoio e poi correre sotto al pianoforte. Ci hanno messo addosso coperte calde e poi hanno sigillato con lo scotch e altre coperte tutte le finestre.


Mi mancano tantissimo il mio cavallo e i miei cani. Amo molto gli animali.
Ormai ho capito che la guerra non finirà subito e non tornerò presto a casa, quindi mi sto adattando a vivere in Italia. La guerra mi ha insegnato a non pensare troppo avanti nel tempo. Bisogna riparare subito le scuole e tutte le altre strutture educative e insegnare il bene ai bambini, perché la guerra è male e porta solo dolore. In guerra la gente uccide altra gente e provoca sentimenti terribili. Quando ero in Ucraina avevo paura che la guerra arrivasse dentro alla mia camera, perciò ora che sono al sicuro dovrei essere tranquilla. Invece mi manca tantissimo casa mia.”

VIKTORIA E ZLATA (Pace)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“Mi chiamo Viktoria. Sono nata ventitré anni fa a Leopoli. Da lì il 25 febbraio sono partita con il mio unico figlio, mia madre e mia sorella. Il confine polacco è lì vicino, per questo abbiamo pensato che sarebbe stato facile andar via. Invece, abbiamo viaggiato per due ore fino a Mostys’ka e da lì è iniziato il nostro incubo.

Abbiamo dovuto lasciare l’auto perché c’erano 40 chilometri di fila per uscire dalla città. Con le nostre poche cose ci siamo incamminati verso la frontiera a piedi. Una lunga nottata che sarà impossibile dimenticare.

Una volta attraversato il confine ci siamo affidati al caso. Con l’aereo siamo arrivati in Italia e poi in pullman a Sorrento.

Penso sempre a mio padre, mio marito e i miei nonni che continuano a sentire il terribile suono dell’allarme antiaereo. Quella mattina la sirena andava avanti ininterrottamente. Era ancora buio, ci ha svegliato quel fischio acuto. Ricordo l’ansia per la mia vita e per quella dei miei familiari.

Ora invece quella stessa ansia si sovrappone al dolore. Ogni giorno, quando leggo le notizie, non riesco a trattenere le lacrime. Mi ripeto che a Leopoli è relativamente tranquillo, ma le lacrime scorrono.

Se penso che prima della guerra ero cheerleader, allenavo i bambini che facevano ginnastica. Ero li ad incoraggiarli.

Penso che il nostro nemico sia la guerra e che per sconfiggerla bisognerebbe iniziare a cambiare noi stessi, il nostro paese dall’interno.

La guerra va fermata. Se non la fermiamo noi ora, toccherà farlo ai nostri figli.

Io invece per mio figlio voglio un futuro migliore, voglio un lavoro che mi permetta di crescerlo!” 

 


 

“Sono Zlata-Maria e ho otto anni. Quando hanno iniziato a suonare le sirene mi facevano male le orecchie. Mia sorella ci ha portato da Leopoli a Sorrento, prima a piedi e poi in aereo.

Io e lei stavamo sempre insieme, mi ha insegnato a fare la cheerleader.

Questa volta però è tornata in Ucraina, dove sta papà. Con mamma li videochiamiamo tutti i giorni. Lei è sempre molto ansiosa, ha paura per loro e li vuole vedere. A me mancano tanto, ma penso anche ai miei  amici e ai miei giocattoli. Qui mi piace molto, soprattutto perché a scuola non ci danno compiti da fare.”